Affrontiamo, seppur in “punta di piedi “,
una questione che riteniamo non sia stata ancora sufficientemente approfondita nel dibattito relativo alla corretta ed esaustiva predisposizione delle necessarie e migliori prassi prevenzionistiche: le differenti culture e religioni dei lavoratori e il loro impatto nella valutazione del rischio.
Sappiamo oramai tutto su come deve essere predisposto un DVR ma la domanda che ci poniamo è la seguente: siamo certi che le differenze culturali e religiose che dovessero contrassegnare gruppi omogenei di lavoratori (o anche il singolo lavoratore) siano sempre adeguatamente valutate dal datore di lavoro nel DVR?
Il riferimento più immediato è ai lavoratori stranieri (ma non solo) di religione musulmana che seguono i precetti della loro fede, tra i quali quello del Ramadan.
Per semplicità ricorderemo solo che durante questa ricorrenza, che dura un mese intero, i musulmani si astengono dal consumo di bevande e cibi dall’alba al tramonto.
Le conseguenze di tali privazioni sulle condizioni psico-fisiche di un lavoratore impiegato in lavorazioni manifatturiere, metalmeccaniche, nel campo delle costruzioni o in agricoltura, solo per fare degli esempi, sono fin troppo immaginabili se le si rapporta alle particolari condizioni di tempo, luogo e di processo lavorativo in cui vengono svolte.
Il caldo o il freddo eccessivo, le lavorazioni in quota, in ambienti confinati o quelle ad alto dispendio di energie fisiche, quanto incidono sulla capacità del lavoratore di religione musulmana di assolvere i propri compiti durante il Ramadan?
E, in queste condizioni “eccezionali”, siamo assolutamente certi che le “normali” forme precauzionali – individuate dal datore di lavoro nel DVR – siano sufficienti ad assicurare in maniera adeguata la salute e la sicurezza del lavoratore di religione musulmana”?
Il conseguente corollario di queste premesse non può che essere uno ed uno solo: la valutazione del rischio non può prescindere dalle differenze socioculturali e religiose che si ritiene, come nel caso di specie, possano avere un qualche impatto sulla natura e gravità dei rischi connessi al processo lavorativo.
In altre parole, in presenza di gruppi omogenei di lavoratori (non necessariamente numerosi) l’analisi dei rischi dovrà tenere necessariamente conto della maggiore o minore esposizione dei “diversi” lavoratori impegnati nelle “medesime” condizioni di impiego.
È poiché, anche in ossequio ai principi di rango costituzionale, non può certo tollerarsi alcuna discriminazione dei lavoratori a cagione del loro credo religioso, il datore di lavoro dovrà necessariamente apportare gli opportuni correttivi nell’organizzazione del lavoro, che tengano conto delle contingenti e temporanee necessità psico-fisiche dei lavoratori che, per circa un mese, non possono consumare cibi e bevande dall’alba al tramonto, con conseguente prevedibile pregiudizio per la loro prestanza o resistenza fisica e sul completo controllo delle proprie capacità psico-motorie.
Tali condizioni di minorato controllo delle energie psico-fisiche, seppur riferite ad un ben determinato periodo dell’anno, impongono pertanto al datore di lavoro di valutare adeguatamente nel DVR questo potenziale aumento di un rischio, evidentemente già presente “normalmente” in certe tipologie di lavorazione.
La più naturale delle conseguenze pratiche potrebbe essere quella di un cambio delle mansioni o anche dei turni di lavoro, fatti ovviamente salvi i momenti di confronto negoziale nell’ambito della contrattazione di secondo livello.
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