La sicurezza di carta è la condizione che qualifica quegli ambienti di lavoro dove gli adempimenti in materia di salute sicurezza sono solo di natura formale.
È una condizione molto diffusa.
Si realizza frequentemente non solo per colpa dei datori di lavoro ma anche (e soprattutto) con la complicità di molti “consulenti per la sicurezza” che limitano la propria collaborazione ad una generica ed astratta valutazione dei rischi, di norma quelli riferiti al settore di attività e alla consegna del relativo documento.
Nessun sopralluogo, nessuna profilazione del processo produttivo, nessuna indagine sulla modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative, sulle caratteristiche dei lavoratori e delle lavorazioni, niente che possa qualificare la valutazione.
I più furbi il documento neanche lo firmano non essendo necessario ai fini della legittimazione.
Fatta la valutazione nessuna misure di prevenzione e protezione in relazione ai compiti e alle persone, nessuna informazione o addestramento, così che tutti quei rischi eventualmente valutati restano sulla carta.
Ovviamente sto generalizzando, rischiando di urtare la sensibilità di quei tanti colleghi che invece la professione la esercitano con impegno e serietà.
Però, vi assicuro, che sono moltissime le valutazioni effettuate senza che nessuno gli dia seguito e senza che il valutatore scriva in chiare lettere e spieghi in modo chiaro cosa deve essere fatto e chi deve agire affinché la sicurezza non sia di sola carta.
A Bologna in occasione della ventunesima edizione di Ambiente Lavoro, Aifes ha promosso, unitamente ad Anmil, un interessante convegno dal titolo “La scuola della testimonianza Anmil, per una nuova cultura della prevenzione”.
Ho conosciuto Andrea Lanari ed ascoltato la sua testimonianza: ha perso entrambe le braccia a causa di una pressa.
Una storia agghiacciante in un contesto lavorativo dove nessuno si era preoccupato di verificare se quella macchina fosse sicura.
Una storia che si è portato via non solo le braccia ma anche la famiglia di Andrea, la sua vita sociale, tutto ciò per il quale aveva duramente lavorato.
Quando subisci certe mutilazioni non sei più lo stesso, non lo sarai mai più.
La storia di Andrea è la storia di tante persone che si sono fidate del proprio datore di lavoro, e con lui, di tutti quei “professionisti” della prevenzione che lo devono coadiuvare affinché non vi siano più storie di mutilazioni e di morte.